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19 settembre 2012

La "trattativa" permanente.

foto da nexocorporation.com
L'Italia è il "Bel Paese", non c'è dubbio; e dietro questa locuzione apparentemente benevola si celano mille anditi oscuri. L'Italia è quella che conosciamo, quella che facciamo noi stessi, tra lampi di genio e cadute fallimentari. Ma soprattutto, l'Italia è il posto della creatività: artistica, letteraria, finanziaria e adesso anche giuridica. E Taranto è un'avanguardia sul proscenio della creatività; è ormai la città del crimine mediatico per antonomasia (il caso Scazzi su tutti); è la città delle polveri dell'acciaieria più grande d'Europa, l'Ilva e, di conseguenza, quella del più elevato numero di morti tumorali dovute ad inquinamento provocato da un'industria. Ma da qualche giorno Taranto è pure la città dove un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria, che altrove e verso altri soggetti sarebbe immediamente esecutivo, non viene ottemperato dal destinatario mediante il ricorso ad una forma di artato rallentamento della procedura di applicazione delle prescrizioni imposte che non trova eguali almeno nella storia dei procedimenti penali degli ultimi trent'anni. Si può patteggiare sulla pena (art. 444 c.p.p.) quando l'imputato chiede al Pubblico Ministero di concordare una sanzione più vantaggiosa in cambio di un sensibile accorciamento del processo, con notevole risparmio di tempo e di soldi per l'erario. Ma che il soggetto indagato, in questo caso l'Ilva, si arroghi il diritto di trattare con la Procura della Repubblica che l'ha già colpita con una misura coercitiva (il sequestro degli impianti), come se si trovasse al mercato delle pulci, no, questo non l'avevamo mai visto! Sappiamo soltanto che se un cittadino qualunque venisse colpito da un provvedimento di sequestro di un suo bene, dovrebbe immediatamente rinunciare al suo "uso", almeno fin quando non intervenisse un ulteriore e successivo atto di dissequestro. 
Ma, si sa, l'Italia è il paese della creatività e, adesso, anche della trattativa permanente.